Descrizione
INFO: MEDIT PLAY – Brano meditativo di Claudio Casadei (Prefazione di Gabriello Milantoni, storico dell’arte) Médomai è, in greco, meditare. La sua radice *ma, derivata dalle lingue arie, contiene il doppio significato di misurare e di pesare, e ancor oggi, sia nel farsi persiano sia nel dari afghano, ma’refat, a esempio, è conoscenza, mentre ma’ni è, propriamente, significato. Chi medita, dunque, misura, soppesa, presta attenzione, ascolta: ma non più valuta il mondo fuori di sé, bensì rivolge la mente alla propria interiore cosmologia, e ne osserva le anse profonde, e ne cerca i luoghi dove più recondito pulsa il battito di una verità che si intuisce necessaria, che si avverte fondativa per dar luogo al difficile itinerario verso la conoscenza di sé, del significato, del senso del proprio esistere terreno. Gialal al-Din Rumi, uno dei più eccelsi mistici del vicino oriente asiatico, era afghano di Baktra, l’odierna Balkh, e insegnava, scrivendo in persiano e meditando sugli umani destini, a cercare l’indispensabile passaggio dal mondo materiale all’universo celeste: era un darwish, ossia un “cercatore di porte”, e in povertà fondò il celebre ordine dei “dervisci rotanti”, che ancor oggi danzano volgendosi intorno come ascetici pianeti. E secoli dopo ecco in Occidente uno dei più grandi santi sugli altari cattolici esortare dalla Spagna a immergere gli occhi della mente nell’imitatio Christi, a far nostra la sua vita, a esser viandanti del nostro cuore: Sant’Ignazio di Loyola chiamò Esercizi spirituali l’impervio dolce drammatico soave arduo viaggio della meditazione sull’essenza dell’anima incarnata. Medit Play di Claudio Casadei, allora. Ecco il folgorante ritratto per musica dell’intenso ascolto di un’anima: come l’antico asceta battriano, Casadei cerca il passaggio celeste tra i condotti carsici della vita, come il moderno mistico spagnolo affronta il maglio scintillante dello spirito. E sui fastigi del pentagramma ecco assieparsi infinite cellule sonore, autonome, brulicanti, frementi di vita, aurorali particelle lanciate a cercarsi, aggregarsi, separarsi, partire e tornare, lasciarsi e ritrovarsi. E quel ritmo, quella metrica, quello scambio incessante di voci, sussurri, sapere, d’improvviso s’accende come un lampo che chiami a raccolta il suono, un mistero che è corpo palpitante di soffi, un furore di bellezza, un’irresistibile poesia-verità. Finché, nel cuore più alto, s’infigge la freccia d’oro incandescente: e lacera il velo dello spazio celeste, ove il pensiero si offre e si abbandona, fiorito nella meditazione sullo spirito, alla trasparente contemplazione dell’anima, fissando gli occhi nel segreto non svelato di una notte rischiarata non da un sole indicibile, ma, come misticamente vedeva San Juan de la Cruz, da una improvvisa, enigmatica nube di buio.